ANTROPOLOGIA & SF

Semuren nasce dall'intreccio di antropologia e fantascienza. Basato sui miei studi nel campo dell'antropologia delle migrazioni, il romanzo utilizza i materiali etnografici che nel corso del tempo ho raccolto tra l'Italia e la Cina, passando per i Balcani e l'Europa orientale, come punto di partenza per la finzione narrativa. Sebbene possano apparire mondi diversi e distanti, nella mia esperienza antropologia e fantascienza si sono incontrate ai "confini della realtà", nell'estrema periferia urbana di Torino, dove ha sede il MUFANT, il Museo del Fantastico e della Fantascienza. E proprio da qui vorrei partire, e più precisamente da una sagoma in metallo che raffigura l'Alien di Ridley Scott, posta proprio davanti all'ingresso di questo straordinario museo. Sul basamento dell'installazione c'è scritto: "Believing the strangest things, loving the alien".


Parco del Fantastico - MUFANT, Torino, 2022 © Francesco Vietti

Loving the Alien

David Bowie è stato un artista con tratti marcatamente fantascientifici. Per la sua estetica, per il suono della sua musica e per merito di una canzone come Space Oddity, che ha saputo esprimere in modo indelebile i sogni, le illusioni, le ossessioni dell’odissea nello spazio della seconda metà del XX secolo. Ed è il testo di un altro brano di Bowie che mi sembra mettere ben in luce le “somiglianze di famiglia” tra antropologia e fantascienza. Il verso di una canzone che non parla di lontane galassie, ma dell’incontro con l’alterità e di un’apertura radicale all’universo delle possibilità: "Credere le cose pi strane, amare l'alieno". In questo passaggio del brano Loving the Alien, datato 1984, mi sembra di ritrovare in forma lirica l’evocazione di quello “straniamento cognitivo” che il critico letterario Darko Suvin nel 1979 (anno della prima uscita cinematografica di Alien) aveva indicato come elemento fondante della fantascienza: farci apparire familiari mondi nuovi e diversi dal nostro, offrendoci così una potente lente conoscitiva e uno sguardo rinnovato (o alieno) per interrogare la nostra realtà quotidiana. 


Confine urbano, Torino, 2022 © Francesco Vietti

Contro lo stato delle cose

Questo duplice movimento (rendere familiare ciò che non lo è, e al tempo stesso osservare con uno “sguardo da lontano” ciò che ci è consueto) è in effetti il fondamento anche dell'antropologia. Come sostiene Carlo Pagetti, massimo critico letterario italiano nel campo della fantascienza, il linguaggio della fantascienza e dell’antropologia tendono dunque oggi ad avvicinarsi. Il che non dovrebbe sorprendersi, visto che già nella sua introduzione a The Left Hand of Darkness del 1969 Ursula K. Le Guin scriveva:

Questo libro non parla del futuro. Certo, i personaggi che lo popolano sono androgini, ma questo non significa che io stia prevedendo che nel giro di un migliaio di anni o giù di lì saremo tutti androgini. Sto semplicemente osservando, in maniera indiretta e insolita e attraverso un esperimento di pensiero tipico com’è della fantascienza, che se ci guardiamo in alcuni momenti del giorno, in alcuni climi, lo siamo già. Non sto prevedendo, né prescrivendo. Sto descrivendo.

Secondo Le Guin, figlia dell'antropologo Alfred Kroeber, il futuro è dunque la metafora attraverso cui la fantascienza descrive il presente. Se questo è vero, allora le utopie e le distopie della fantascienza possono rivelarsi per l’antropologia delle straordinarie risorse per «pensare la discontinuità» in relazione alle distorsioni e alle catastrofi che segnano la nostra contemporaneità, come nel caso delle diseguaglianze sociali, delle migrazioni, delle pandemie, dei conflitti militari e del riscaldamento globale.


Chthulucene, Torino, 2022 © Francesco Vietti

Prossime città, città prossime

Nella loro comune aspirazione a farsi critica culturale dello status quo, antropologia e fantascienza hanno trovato nella città e nelle condizione della vita urbana un luogo privilegiato di osservazione e di espressione della propria carica decostruttiva. Ce lo mostrava già chiaramente  nel lontano 1895 Herbert George Wells nel suo celeberrimo The Time Machine. Descrivendo l'aberrante involuzione che conduce l’umanità a dividersi in due razze distinte, l'una dedica a svaghi e piacevolezze, e l'altra reclusa in gallerie nel sottosuolo, Wells notava alla fine del XIX secolo: “l’esclusiva tendenza dei più ricchi è già ora quella di chiudere, a loro vantaggio, ampie porzioni della superficie terrestre” e “un lavoratore dell’East End non vive già oggi in condizioni così artificiali da essere tagliato fuori dalla superficie naturale della Terra?”. Il riferimento qui è al “popolo dell'abisso”, quella classe operaia londinese magistralmente raccontata negli stessi anni da Jack London che ho voluto evocare anche in Semuren, come sottolinea anche la citazione riportata sulla quarta di copertina del romanzo.

Sulla scia delle intuizioni dei grandi osservatori del nesso tra modernità e urbanizzazione come Georg Simmel e Walter Benjamin, saranno molte altre le "città del futuro" in cui antropologia e fantascienza si incontreranno nel corso del Novecento. Basti pensare alla Metropolis di Thea von Harbou e Fritz Lang. La prima, memorabile città del cinema di fantascienza, che von Harbou e Lang immaginano nell’ormai a noi prossimo anno 2026 e disegnano modellandola sull’impressionante skyline della New York modernista a loro coeva, è segnata dalla segregazione dello spazio e del tempo. I ricchi industriali la governano dall’alto dei loro grattacieli, mentre i lavoratori proletari al loro servizio sono costretti nei bassifondi e le loro vita è scandita del ritmo delle macchine. L'archetipo della "città divisa" avrebbe accompagnato tutto il XX secolo, trovando infine compimento nella città cyberpunk, dove alla claustrofobica materialità della città segmentata e segregata dai dispositivi securitari del capitalismo neoliberista, fa da contrappunto il suo doppio anarchico creato nei nuovi mondi virtuali, intangibili e infiniti delle connessioni e dalle reti informatiche. Ed è qui che il cerchio si chiude, con William Gibson che va in visita alla Città Murata di Kowloon per nutrire il suo immaginario in quell'incredibile "alveare di sogni" sospeso tra Oriente e Occidente.

Se siete interessati al lungo viaggio condiviso tra antropologia e fantascienza, potete continuare la vostra esplorazione dal numero speciale della Rivista di Antropologia Contemporanea che ho curato insieme a Fabio Dei e Fabiana Dimpflmeier su questo tema.