INCIPIT

I tetti della Città Murata di Kowloon sono un velo sopra la miseria umana dei vicoli lerci di liquami, dei laboratori clandestini dove si lavora senza sosta, degli appartamenti privi di finestre dove trascorriamo notti insonni. 

Nei pomeriggi lunghi e afosi, quando la città non è che un rumore sordo e profondo, i bambini giocano a palla, si nascondono dietro i parapetti, girano in bicicletta attraversando giardini pensili e distese di lamiere roventi per il sole. Camminano scalzi, muovendosi in gruppi o da soli, e quando ti incontrano ti fissano con uno sguardo di sfida, come se qui i padroni fossero davvero loro. Poi, quando il caldo si placa, ecco salire i padri, che sui tetti hanno il loro santuario. Spostano le sedie disponendole in cerchio e cominciano a parlare nella loro lingua. I figli conoscono solo il cinese, ma i genitori si ritrovano alla sera per rifugiarsi nel loro vecchio mondo. 

Anch’io faccio così ogni volta che vengo qui a scrivere tra le ombre lunghe del crepuscolo, cercando un senso alla mia scelta di andarmene dall’Italia.


 La Città Murata di Kowloon © Federico Vietti